UNA STATUA PER LAVARSI LA COSCIENZA

Novosibirsk (Russia) – Istituto di Citologia e Genetica

Nel cortile dell’istituto di Citologia e Genetica della città di Akademgorodok, una struttura di ricerca associata all’Università statale di Novosibirisk , è stata realizzata una statua in bronzo come “tributo” agli animali da laboratorio, in particolare ratti e topi. Il monumento ritrae un roditore che tesse un filamento di Dna.

Il professor Nikolai Kolchanov, rettore del suddetto istituto, ha dichiarato che ”il monumento simboleggia la gratitudine per il sacrificio degli animali grazie al quale l’umanità ha potuto studiare la genetica ed i meccanismi alla base delle malattie, e grazie ai quali ha potuto sviluppare rimedi e cure farmacologiche.” L’artista che ha realizzato l’opera, Andrew Kharkevich, ha voluto raffigurare il topo nelle vesti di uno scienziato che tesse il futuro della ricerca.

Detto questo, le righe che seguiranno non saranno un elogio dell’opera, tutt’altro.

Prima di fare qualunque affermazione analizziamo il significato del termine “gratitudine”.
Per gratitudine si intende “un sentimento di affettuosa riconoscenza per un beneficio o un favore ricevuto e di sincera e completa disponibilità a contraccambiarlo”. Ma quale beneficio o favore è stato ricevuto? Nessuno, semplicemente perché per ricevere ci deve essere qualcuno che decide di concedere e non è questo il caso. Nessuno degli animali che ha subito i processi della sperimentazione si è concesso volontariamente, semmai è stato costretto con la forza, la paura, la violenza e il dominio. Non dovremmo parlare di un favore concesso, di ricevere qualcosa quando invece si sta estorcendo, dovremmo parlare piuttosto (come minimo) di una violenza consumata o di “furto della vita”. Ma il fatto di non utilizzare le giuste parole e le giuste immagini è tremendamente funzionale al reale scopo per cui questa statua è stata realizzata, ovvero quello di lavarci la coscienza. Sì, è questo il vero scopo. Rappresentare un animale non umano con caratteristiche umane ha chiaramente il fine di mostrarlo ai nostri occhi come soggetto interessato, cooperante con le nostre attività, col nostro sistema di credenze e non per quel che è, vale a dire una vittima estranea e inconsapevole. É così che la cavia da laboratorio diventa l’eroe di guerra votato all’umanità che si immola per le nostre battaglie. Ed è anche curioso, ma certamente non casuale, che si sia eretta una statua a simboleggiare la sperimentazione senza raffigurare l’atto della sperimentazione stessa. Se usassimo immagini realistiche di quello che si vuole apparentemente celebrare, ovvero quelle di animali che vengono rinchiusi, torturati, ridotti in fin di vita, resi forzatamente malati, ciechi, disabili, amputati, gettati in un incubo che ha come termine solo la loro morte, allora sarebbe evidentemente impossibile celebrare nulla, anzi, quel monumento sarebbe la rappresentazione di una violenza inaudita, orrenda che non ci porterebbe certo a celebrarla ma ci aiuterebbe a capirla e smettere di accettarla

Per capire quanto sia meschino il gesto, basta fare dei parallelismi.

Sarebbe come dedicare una canzone agli schiavi di tutto il mondo perché con il loro sacrificio quotidiano ci permettono il lusso della tecnologia, senza voler porre fine alla schiavitù, ma solo “ringraziarla” e continuare a praticarla.

Sarebbe come dedicare un quadro ai miliardi di animali non umani schiavizzati e macellati ogni anno per poter continuare a rimpinzarci dei loro corpi e delle loro secrezioni, senza domandarci se tutto ciò sia giusto e necessario.

La vittima in quella statua non esiste. La vittima è stata sepolta e la violenza che le è stata imposta rimane un dato di fatto da non mettere in discussione, da nascondere dietro un simbolo che non la faccia percepire.

Quest’opera non è una “devianza”. È un rimarcare la stessa identica rotta antropocentrica (antropocratica?) della nostra civiltà, dandone un’ulteriore apparente giustificazione.

Diventa necessario simboleggiare la gratitudine perché anche quando quella violenza venisse riconosciuta, sembrerebbe meno grave, come se una statua davvero servisse ai morti e non ai vivi. Diventa necessario perché quel tanto osannato progresso farmacologico non ci sta portando da nessuna parte.

Senza tutta questa retorica propagandistica celebrativa del glorioso e inarrestabile progresso umano, guarderemmo il quadro dei fatti senza inutili cornici e ciò che crediamo colorato e variopinto apparirebbe scolorito, spento e unicolore. Esattamente come quando giustifichiamo l’uccisione di migliaia di miliardi di animali ogni anno per ricavarne prodotti alimentari superflui, invocando i valori della tradizione o del nobile lavoro del macellaio.

Basta cornici inutili! Osserviamo il quadro. Guardando la realtà, vedremmo che siamo tutti malati: abbiamo creato o fatto esplodere tutta una serie di nuove malattie fuori controllo che stanno esplodendo in tutto il mondo nonostante gli sfori compiuti per la loro repressione.

Il motivo di tutto questo è che non indaghiamo sulle cause dei problemi, ma continuiamo imperterriti a prendercela con i sintomi. Così facendo ci allontaniamo sempre più dalla reale comprensione dei fenomeni e dalla natura stessa che preferiamo cercare inutilmente di dominare. Piuttosto che mettere in seria discussione ciò che stiamo facendo, continuiamo a realizzare statue, celebrare riti, inventare teorie ed equazioni, tutto per creare quella cornice che giustifichi e non ci faccia guardare con mente lucida tutte quelle azioni che ci stanno portando miseramente alla rovina. Le conseguenze di questa attitudine insensata e del nostro allontanamento dal mondo naturale di cui siamo parte porta all’aggravante che queste non ricadono solo su di noi, ma su tutti gli esseri viventi che, nonostante c’entrino poco o nulla con i nostri problemi, vengono continuamente minacciati, vessati, usati, torturati, incarcerati, fatti estinguere, fatti a pezzi.

E per tutto questo a loro è dedicata una statua, quando capita. Ma non si parla certo della loro libertà, della loro vita.

Si accetta il compromesso del riconoscimento della sofferenza che procuriamo solo quando ciò non intacca minimamente tutto il sistema mangia vite che c’è dietro, attraverso un subdolo metodo di legittimazione e perpetuazione della violenza.

Siamo l’unica specie che domina e uccide altre specie per tentare di risolvere (solo in pochi casi) le proprie malattie, ricreandole artificialmente in un laboratorio che sarà sempre differente dal suo ambiente e su animali che saranno sempre diversi da lui piuttosto che studiare e mettere in dubbio il suo ambiente e il suo stile di vita; siamo l’unica specie che soffre l’esistenza di decine di migliaia di malattie; siamo l’unica specie che immette nel proprio corpo sostanze chimiche create in laboratorio illudendosi di non pagare il prezzo di effetti collaterali che diventeranno nuove malattie per le quali trovare delle cure. Siamo l’unica specie che ha creato per sé un ambiente e uno stile di vita per la quale è inadatta.

Non sarà una statua a giustificare gli orrori dell’oppressore, non sarà una statua a ridare giustizia all’oppresso, non sarà una statua a porre fine all’oppressione e non sarà una statua a risolvere i nostri problemi.

Continuando su questa strada ci schianteremo contro al muro alla fine di un vicolo cieco, ma forse non ce ne accorgeremo neppure, intenti come saremo a prendercela con i sintomi, a inventarci teorie ed equazioni, celebrare riti, tradizioni, o a erigere statue.

 

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