In natura le prede possono semplicemente essere fortunate, possono scappare, possono difendersi e addirittura contrattaccare.
Il rapporto tra predatore e preda è un rapporto alla pari, inserito dentro degli elementi naturali in cui essi vivono, regolato da tecniche e caratteristiche specifiche delle specie
(come artigli, zanne, velocità, forza) e che finisce per instaurare un meccanismo di equilibrio.
Questo equilibrio si basa anche su una pari necessità: quella di sopravvivere. Dal risultato della caccia, infatti, dipende sia la vita della preda che del predatore.
La caccia in natura non è divertente, non è un passatempo, non è una scelta. È un’attività molto rischiosa che comporta fatica, dolore, sofferenza, paura, morte. Una situazione quindi che ogni essere vivente cerca ovviamente e istintivamente di evitare, se possibile.
È qualcosa in cui nessun animale ambisce di trovarsi, se non per la necessità vitale del predatore di sfamarsi e quella della preda di difendere se stessa e i suoi simili.
Nessun uomo pre-civilizzato che abbia avuto la necessità di adattarsi alla caccia ha mai inflitto alle sue prede una crudeltà lontanamente paragonabile a quella che oggi l’uomo civilizzato infligge a miliardi di animali ogni anno, a prescindere dal tipo di allevamento.
Gli animali nascono prigionieri, nessuna possibilità di scappare, vivono quasi sempre una vita di dolore e vengono uccisi quando la convenienza economica del padrone lo impone.
Trovarsi di fronte al prodotto finale di questa lavorazione, disporne quanto e quando si desidera, e pensare che sia natura, che sia catena alimentare, non catena di montaggio, non è altro che una delle tante illusioni di cui l’uomo moderno ha bisogno per non pensare, per non rendersi conto di quanto sia inutilmente brutale la società in cui vive.